Provincia magmatica Toscana

La provincia magmatica toscana, così come definita da Peccerillo (2005) (Tab. 1), comprende diversi centri mafici e sialici, intrusivi ed effusivi diffusi nella parte meridionale della toscana e nell’arcipelago toscano, oltre che a Sisco in Corsica. IL confine tra PMT e la PMR è marcato dalla comparsa della leucite nelle rocce. Le rocce della PMT sono tutte sovrassature. (fig. 1)

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Immagine 1: Centri eruttivi della PMT (età riportate affianco al nome). Da Rocchi S et. al; I cerchi rossi indicano le località per le quali è stata creata una pagina.



La PMT consiste di rocce intrusive ed effusive, da acide a basiche, affioranti su un’area di 30000 km2 compresa tra Sisco, Toscana continentale, Arcipelago Toscano e Lazio settentrionale.
L’attività magmatica della PMT spazia temporalmente dal Miocene medio (Sisco) al Quaternario (M. Amiata), mostrando una migrazione tendenzialmente continua da W a E (Civetta et al., 1978).
Sono presenti rocce plutoniche, ipoabissali, subvulcaniche e vulcaniche. Le rocce plutoniche sono rappresentate da masse granodioritiche, monzogranitiche, sienogranitiche e leucogranitiche; le rocce subvulcaniche sono lamproiti, apliti e porfidi granitoidi; le rocce vulcaniche sono da rioliti ad andesiti, da trachiti e trachidaciti a shoshoniti. I prodotti basici ed intermedi consistono generalmente di rocce potassiche o ultrapotassiche con affinità alcalina o moderatamente alcalina; le rocce intermedie e acide sono generalmente peralluminose.

Inoltre, la maggior parte delle rocce appartiene alla serie shoshonitica, e parte di queste è anche ultra-potassica (Innocenti et al.,1992). La PMT non è però una provincia comagmatica, ovvero non è possibile che tutti i tipi di prodotti presenti nell’area siano derivati da un solo magma (Peccerillo et al., 1988); sono stati elaborati modelli petrogenetici in cui l’interazione di magmi provenienti da sorgenti diverse rende possibile l’ampio spettro composizionale.

Lo spessore della crosta continentale è moderato, e raggiunge il valore minimo nella zona della toscana del sud dove la moho raggiunge i 25 Km di profondità; questo testimonia un "doming" del mantello al di sotto della toscana del sud.
Ciò è testimoniato dall’alto heat-flow in questa zona, in cui si ha il noto campo geotermico di Larderello. Un’altra importante caratteristica di questa zona è la presenza di una zona a bassa velocità sismica nel mantello, tale zona è di dubbia interpretazione; alcuni autori la attribuiscono ad un residuo di materiale crostale nel mantello, altri a una zona del mantello parzialmente fusa o interessata da metasomatismo.

Innocenti et al. (1992) e Serri et al. (1993) individuando quattro fasi magmatiche della PMT:

Fase 1: (14 Ma) rappresentata esclusivamente dal sill lamproitico di Sisco, considerato prima manifestazione documentata relativa all’estensione litosferica post-collisionale (14.2 Ma; Civetta et al., 1978), piuttosto che stadio finale dell’arco magmatico sardo-corso.

Fase 2: (7.3-6.0 Ma) include i plutoni di Montecristo (7.3-7.1 Ma: Ferrara & Tonarini, 1985; Innocenti et al., 1997), Vercelli (seamount nel bacino tirrenico settentrionale, 7.2 Ma: Barbieri et al., 1986) e M. Capanne (7.0-6.8 Ma: Juteau et al., 1984; Ferrara & Tonarini, 1985; Dini et al., 2002) e il primo periodo di attività vulcanica di Capraia (6.9-6.0 Ma: Barberi et al., 1986). Qui il vulcanismo continua, sebbene sporadicamente, fino a 3.5 Ma.

Fase 3: (5.9-2.2 Ma) include i plutoni di Porto Azzurro (5.9 Ma: Saupé et al., 1982; Maineri et al., 2003), Giglio (5.0 Ma: Ferrara & Tonarini, 1985; Westerman et al., 1993), Campiglia (5.0-4.3 Ma: Borsi et al., 1979), Gavorrano (4.4 Ma: Borsi et al., 1979), Castel di Pietra (4.3 Ma: Borsi et al., 1979), M. Spinosa e Monteverdi (3.8 Ma: Villa et al., 1987), Radicondoli (2.5 Ma: Villa et al., 1997; 2.3 Ma: Gianelli & Laurenzi, 2001), Travale (2.5-2.3 Ma: Laurenzi, 2003), le rioliti di S. Vincenzo (4.7-4.4 Ma: Ferrara et al., 1989; Feldstein et al., 1994) e di Roccastrada (2.5-2.2 Ma: Villa, 1988; Innocenti et al., 1992), le vulcaniti del Distretto di Tolfa e (4.2-2.3 Ma: Fornaseri, 1985; Ferrara et al., 1988; Villa et al., 1989; Innocenti et al., 1992) e le lamproiti di Orciatico (4.1 Ma: Conticelli et al., 1992) e di Montecatini Val di Cecina (4.1Ma: Ferrara & Tonarini, 1985). Anche il secondo periodo di attività di Capraia (4.6-3.5 Ma: Barberi et al., 1986) ha luogo in questa fase.

Fase 4: (1.3-0.1 Ma) inizia con la messa in posto delle vulcaniti di Radicofani (1.3 Ma: Barberi et al., 1971; Pasquarè et al., 1983 D’Orazio et al., 1991, 1994) e dei Monti Cimini (1.3-0.9 Ma: Fornaseri, 1985) e del granito sepolto di Carboli (1.3 Ma: Villa et al., 2001); anche il vulcano di Torre Alfina appartiene a questa fase (0.8 Ma: Fornaseri, 1985). La maggior parte dell’attività di questa fase è più recente di 0.6 Ma e consiste quasi interamente di prodotti della NW-PMR (0.6-0.1 Ma: Serri et al., 1993; Barberi et al., 1994); le vulcaniti alcaline potassiche e ultrapotassiche del M. Amiata rappresentano gli ultimi prodotti della PMT (0.3-0.2 Ma; Bigazzi et al., 1981; Fornaseri, 1985; Barberi et al., 1994; Ferrari et al., 1996), contemporanei con quelli della PMR.

Tra le peculiarità della PMT, una delle più interessanti è sicuramente la presenza di corpi plutonici esposti molto giovani, da 6.9 Ma del M. Capanne (Dini et al., 2002) a 4.4 Ma di Gavorrano (Borsi et al., 1979), e di altri corpi "sepolti" ancora più recenti (diversi corpi messi in posto tra 3.8 e 1.3 Ma nel campo geotermico Larderello-Travale; Dini et al., 2005).
Il magmatismo intrusivo si sviluppa all’interno del cosiddetto Tuscan crustal dome (Serri et al., 1993), un’area ellittica di circa 150x300 km, centrata sull’isola del Giglio, caratterizzata da elevato flusso di calore (fino a valori superiori a 120 mW/m2, con picchi di 500 mW/m2 nell’area di Larderello; Mongelli et al., 1989; Gianelli et al., 1997), crosta continentale sottile (Panza, 1984) e risalita di mantello. In quest’area sono abbondanti i corpi plutonici o subvulcanici acidi, presenti nell’Arcipelago Toscano (M. Capanne, Porto Azzurro, Giglio, Montecristo), sulla costa tirrenica della Toscana meridionale (Botro ai Marmi, Gavorrano) e in perforazione (Vercelli, Castel di Pietra, Monteverdi, M. Spinosa, Travale).

Analizzando la posizione delle intrusioni all’interno della struttura crostale si nota che, da W a E, i graniti dell’Arcipelago Toscano intrudono la base delle ofioliti delle falde liguri (le più elevate dell’Appennino), i graniti della costa intrudono la base delle falde toscane (collocate al di sotto delle falde liguri), i graniti interni trovati in perforazione intrudono il Basamento Paleozoico (basamento metamorfico sopra il quale giacciono formazioni autoctone e alloctone). Dunque, da W a E, graniti sempre più giovani intrudono unità strutturalmente sempre più profonde pur non variando la profondità di messa in posto (Dini et al., 2003).

La PMT è caratterizzata da una grande variazione e complessità nei prodotti magmatici; Peccerillo (1987) riconobbe per primo la coesistenza di numerosi tipi di magma; da magmi anatettici a magmi potassici a ultrapotassici a mafici e lamproitici. Tutti questi prodotti mostrano evidenze di Mingling e di mixing, da xenoliti mafici e xenocristalli in disequilibrio a evidenze geochimiche.

I diagramma K2O vs SiO2 e Alcali vs SiO2 mostrano nel dettaglio la variabilità dei prodotti della PMT (fig 2)

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Immagine 2: Diagramma K2O vs SiO2 per le rocce della PMT. Da Peccerillo et. al (2003)

È possibile distinguere 3 serie nella descrizione delle rocce della PMT: sub-alcalina, potassica e ultrapotassica (Serri et al., 1993).

Serie sub-alcalina

Questa serie comprende due gruppi: uno acido e l’altro calco-alcalino alto in potassio (HKCA).
Il magmatismo acido toscano effusivo si rinviene a San Vincenzo, Roccastrada, Monte Amiata, Monti Cimini e Tolfa; le intrusioni acide invece affiorano all’Isola d’Elba, Montecristo e Giglio e nel sud della Toscana a Campiglia e Gavorrano. Altri corpi granitoidi si rinvengono come seamount nel mar Tirreno settentrionale (Vercelli) e come intrusioni nascoste nel sud della Toscana (Peccerillo, 2005). Gli elevati contenuti in SiO2, l’alto valore del rapporto 87Sr/86Sr e il basso rapporto 144Nd/143Nd, il carattere per alluminoso di queste rocce (ASI > 1.1) indicano che questi prodotti hanno una chiara origine crostale: si tratta di magmi anatettici. In molte località è evidente il processo di mixing con componenti mantelliche.
Le rocce calco-alcaline ricche in K (HKCA) sono generalmente evolute con composizioni che variano da andesitiche a riolitiche. Talvolta i termini più potassici variano da latiti a trachiti. Sono state trovate esclusivamente a Capraia: durante il primo ciclo sono state eruttate andesiti alte in K e latiti; durante il secondo ciclo invece sono state emesse andesiti alte in K, daciti e rioliti.

Serie alcaline potassiche

Le rocce della PMT appartenenti alla serie potassica sono distinte da Serri et al. (1993) in due gruppi. Il primo gruppo comprende rocce alcaline potassiche intermedie, che variano da sature a debolmente soprassature in SiO2.
Appartengono a questo gruppo le latiti del primo ciclo di Capraia, e i prodotti del centro monogenico di Punta dello Zanobito, ma anche le shoshoniti di Radicofani e alcune latiti dei Monti Cimini. A Radicofani si trovano anche delle shoshoniti ultrapotassiche, Latiti e shoshoniti si trovano spesso come inclusioni nei magmi ibridi toscani (Monte Amiata, San Vincenzo e Manziana) (Serri et al., 1993).
Il secondo gruppo, chiamato gruppo delle rocce alcaline potassiche acide della PMT, comprende le trachidaciti del distretto di Tolfa, del Monte Amiata e dei Monti Cimini.

Serie ultrapotassica

Serri et al. (1993) individuano nella PMT 3 gruppi distinti di rocce ultrapotassiche: 1) rocce latitiche ultrapotassiche, 2) rocce shoshonitiche ultrapotassiche e 3) lamproiti. 1) Rocce latitiche ultrapotassiche (UKL).
Queste rocce mostrano una piccola variazione nel contenuto in SiO2. Il contenuto in magnesio è così variabile che è possibile distinguere le UKL alte in MgO (>6 wt.%) e quelle basse in MgO. Le ULK alte in MgO si rinvengono ai Monti Cimini e a Torre Alfina; quelle al gruppo UKL basse in MgO fanno parte le lave latitiche finali del Monte Amiata e alcune lave intermedie dei Monti Cimini.

2) Rocce shoshonitiche ultrapotassiche (UKSH).
Sono rocce caratterizzate da alti contenuti in SiO2 (54-55 wt.%)e MgO (7.1-9.1 wt.%).
Queste rocce comprendono basalti shoshonitici, olivin-latiti, latiti e trachiti sature in SiO2. Le rocce più mafiche sono caratterizzate da fenocristalli di olivina e da quantità minori di clinopirosseno, immersi in una pasta di fondo di clinopirosseno, plagioclasio e raro sanidino. Nei termini più evoluti compaiono biotite e ortopirosseno. La composizione chimica del clinopirosseno in termini di Ti e Al si colloca a metà strada tra le lamproiti toscane e le rocce con leucite della PMR.

3) Lamproiti.

Le lamproiti sono un gruppo di rocce ultrapotassiche sono caratterizzate da un contenuto in K2O (7- 14 wt.%), in SiO2 (55.5- 58.5 wt.%) più elevato e FeOtot, CaO (3-5 wt.%), Al2O2 (8 - 10 wt.%) e Na2O (0.3 - 1.3 wt.%) meno elevato dei tipici magmi primari derivati dalla fusione parziale della peridotite (Conticelli et al., 2004 e Conticelli et al., 2007).
Le lamproiti toscane non sono peralcaline ((K2O+Na2O)/Al2O3 = 0.70 - 0.95). Le caratteristiche petrografiche più importanti sono l’assenza di leucite e plagioclasio e la presenza di olivina spesso con inclusioni di spinello ricco in Cr.

La pasta di fondo è dominata da clinopirosseno povero di Al e da flogopite; il sanidino è sempre presente.
I minerali accessori più abbondanti sono: apatite, ilmenite ricca in Mg, pseudobrookite (ossido di Fe e Ti) e la richterite ricca in K (Conticelli 2004). I principali centri mafici con affinità lamproitica in Toscana sono: Sisco, Orciatico, Montecatini val di Cecina e Torre Alfina. Nella letteratura passata è possibile trovare per la descrizione delle lamproiti di Orciatico e Montecatini val di Cecina il termine di selagite (Conticelli et al., 1992) o di orendite (lamproite ricca in silice) (Peccerillo et al., 1988 e Conticelli et al., 1992).

Le caratteristiche petrografiche, geochimiche e chimiche dei prodotti della PMT suggeriscono che la genesi sia imputabile a:

1) Processi di subduzione che hanno introdotto materiale crostale nel mantello, questo ha cusato contaminazione delle iherzoliti e delle harzburgiti residuali. Questa contaminazione ha generato sorgenti mantelliche anomale con caratteristiche geochimiche simili alla crosta.

2) Gradi variabili di fusione parziale del mantello contaminato dal materiale crostale hanno generato diversi tipi di magmi, da calcoalcalini a lamproitici (di origine mantellica ma con segnatura crostale).

3) Iniezione di magmi mafici nella crosta che hanno permesso la fusione delle rocce crostali e la formazione di magmi acidi analettici. Questo ha prodotto anche fenomeni di mingling e in alcuni casi di mixing.

Nel diagramma 143Nd/144Nd vs. 87Sr/86Sr iniziali (Immagine 3), i dati della PMT definiscono due trend curvilinei simili, uno superiore con un più alto rapporto isotopico del Nd ed uno inferiore con un rapporto più basso, che puntano, a destra, verso due differenti end-member crostali con alti rapporti isotopici dello Sr e bassi del Nd, a sinistra, verso una componente di mantello con rapporti isotopici relativamente bassi dello Sr e alti del Nd (Dini et al., 2002).
Il trend superiore corrisponde con la curva di mixing descritta per le vulcaniti di S. Vincenzo che collega gli enclave mafici microgranulari e la riolite a cordierite ospite, considerata un fuso crostale quasi puro (Ferrara et al., 1989). Il trend inferiore punta ad una componente crostale con un rapporto isotopico del Nd inferiore, comparabile con quello misurato in alcune rocce del basamento toscano (Dini et al., 2002).

Dunque, l’esistenza di questi due trend suggerisce che nel magmatismo della PMT siano state coinvolte più sorgenti crostali (Dini et al., 2002). Le più probabili componenti di derivazione mantellica coinvolte nel mixing sembrano essere le andesiti ricche in K e i basalti di Capraia (Tonarini, dati non pubblicati) e gli enclave mafici microgranulari delle rioliti di S. Vincenzo (Dini et al., 2002). I magmi risultanti, dunque, sono generati da processi di ibridizzazione, mixing tra due end-member, uno di derivazione crostale e uno di derivazione mantellica.

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Immagine 2: Diagramma 143Nd/144Nd vs. 87Sr/86Sr per le rocce della PMT. Da Dini et. al (2005)



Bibliografia



Le informazioni contenute in questa pagina sono tratte da:
- The Tuscan Magmatic Province: ANGELO PECCERILLO, CARMELITA DONATI. Per. MineraI. (2003), 72, SPECIAL ISSUE: Miocene fo Recent ... , 27-39 - Magmatismo potassico e ultrapotassico italiano: Relazione per il corso di Petrografia regionale A.A 2010-2011, Agnese fazio